Lettera ad un lontano compagno di viaggio

Caro Walter,

il 9/5/13 ci siamo incontrati e ho avuto modo di conoscere una parte della tua storia, forse la parentesi più traumatica e sconvolgente. So che sei stato internato all’età di 18 anni, ed io ti ho conosciuto oggi dall’”alto” dai miei 19 anni. Potremmo definirci coetanei se fossimo nati nello stesso periodo e questo mi aiuta ad avvicinarmi a te e alla tua esperienza, che nonostante io abbia affrontato studi, lezioni, visite e approfondimenti, penso sia impossibile riuscire a comprendere davvero, dato che emozioni talmente forti possono essere assimilate soltanto entrandovi a contatto.

Sebbene io ancora non sia venuto a conoscenza di quello che è stato l’epilogo della tua storia nefasta, sono consapevole che questi giorni saranno per me un cammino al tuo fianco per vedere ciò che tu hai visto e per provare ad immaginare quello che hai provato.

Il primo impatto diretto con i campi di concentramento lo abbiamo avuto a Dachau. Entrando, consapevole di essere accompagnato da te, ho sentito che il peso della storia che gravava su di me si faceva, paradossalmente, sia più pesante che allo stesso tempo più leggero, e l’immensità del campo era riempita da un senso di impotenza e di inadeguatezza. La mia mente, di fronte alla vastità del campo, si è sentita come bloccata, impossibilitata di concepire quello che veramente si svolgeva 70 anni fa nello stesso luogo in cui io mi trovavo. Sin da piccolo sono stato consapevole della mia fervida immaginazione, e nonostante abbia seguito il corso, il quale mi ha notevolmente sensibilizzato, mi sono sentito spaesato. Immaginare baracche, scheletri ambulanti e aguzzini mi è risultato impossibile e questo ha generato in me angoscia e paura, sono arrivato a pensare: “forse non sono adatto a comprendere”. Com’è possibile, però, per un ragazzo di 19 anni poter capire cos’è stato un campo di concentramento, un ragazzo che ha conosciuto tutte le comodità della vita moderna, come può metabolizzare le atrocità di questo terribile periodo. Quest’impossibilità della mia immaginazione di far rivivere momenti di quel passato, mi ha accompagnato durante tutto il nostro viaggio. Grazie al museo e all’aiuto di professori, che reputo estremamente competenti, sono riuscito a realizzare che mio nonno ha fatto parte di tutto questo, che anche lui è stato schedato come un IMI in uno di quei registri che ci vengono riproposti più e più volte all’interno dei lager, che anche lui ha fatto parte del folle progetto tedesco. Sono cosciente di essermene reso conto troppo tardi, non ho resistito al peso che mi sono autoimposto sulle spalle, e non mi sono perdonato il fatto di non averlo mai considerato e rispettato come una persona che ha dovuto subire tali atrocità.

A Ebensee le villette costruite sul terreno dove sorgeva il campo, sicuramente, non mi hanno aiutato nel tentativo di far riaffiorare nella mia testa la spaventosa quotidianità del campo. Può sembrare strano, e potrei passare per insensibile, ma, le immense gallerie, non hanno suscitato in me una particolare reazione, in quanto la mia mente era soltanto concentrata sull’incontro che è avvenuto immediatamente all’esterno delle gallerie. Solo la vista di un ex detenuto polacco, nella sua divisa color bianco sporco e blu, ha suscitato in me una valanga di emozioni, una moltitudine di immagini, un’insieme di pensieri talmente forti ai quali, anche stavolta, non sono riuscito a resistere. La loro forza di volontà, la loro vitalità, mi lascia completamente sconvolto, il mio corpo era unicamente pervaso da un timore reverenziale impressionate nei loro confronti, in quanto io, misero ragazzetto moderno, sono consapevole che non potrei mai essere così forte come sono, e sono stati, loro ex-deportati. Inoltre ho visto riflesso nel deportato, durante il primo contatto che ho avuto con uno di loro, mio nonno, considerato che prima del viaggio non lo consideravo come tale, e, in quel momento, l’unico pensiero che affollava completamente la mia testa non lasciando spazio ad altro era di abbracciare mio nonno non appena fatto ritorno a casa. A causa della continua visione di mio nonno, ho vissuto molto passivamente il resto della giornata, continuando a infliggermi colpe per non averlo mai rispettato abbastanza, e adesso, ogni qualvolta entro in contatto con un ex deportato, basti solo quello visivo, il mio corpo, la mia mente, tutto il mio io, si lascia trasportare dal tumulto di emozioni e dal caos che esse generano.

Comunque, Walter, ho controllato se il tuo nome era presente nel memoriale di Ebensee, e non l’ho trovato. So che sei stato detenuto solo in quel lager, e preso atto che, nonostante non sia uno studente eccelso, so leggere, mi sono rincuorato nel sapere che molto probabilmente sei sopravvissuto alle atrocità del campo.

Oggi ci raduniamo a Mauthausen per la commemorazione dell’anniversario della liberazione del lager. So che saranno presenti moltissime nazioni, etnie, culture, diverse, accomunate però dalla volontà di non dimenticare. Noi siamo qui per questo, un giorno toccherà a noi, un giorno dovremo divenire portavoce della nefasta parentesi, non ancora del tutto chiusa, dello sterminio e della persecuzione, portando avanti l’impegno, in quanto testimoni, al quale abbiamo giurato fede partecipando a questo viaggio. Io mi sono preparato all’ennesimo crollo emotivo, essendo a conoscenza dell’emozione che mi regala il contatto con un deportato, essendo a conoscenza delle emozioni che mi regala il contatto con un ex deportato, ed essendo consapevole che a questa manifestazione parteciperanno molti detenuti.

La manifestazione è stata stupenda, una delle più belle esperienze della mia vita. 22 nazioni completamente diverse in ogni loro singola sfaccettatura, si ritrovano tutte insieme per commemorare le vittime dei lager. In quel momento, all’interno del campo, non importa a quale cultura appartieni, in quale religione ti identifichi, come vivi la quotidianità, la tua classe sociale o di che nazionalità sei; in quel momento tutto questo lungo elenco che ci identifica nella persona che siamo, viene annullato, e da questo rimane solo un corteo, una lunga fila di persone che seguono i rispettivi colori della bandiera nazionale, accomunate dalla volontà di rispettare e ricordare ma soprattutto, di NON DIMENTICARE coloro che subirono le atrocità concepite da un leader pazzo, con il consenso totale della sua popolazione. E li, nel mezzo alla folla, sulle note di “bella ciao”, cosciente che il mio comune e i suoi delegati sono accanto a me e mi rappresentano, consapevole che la moltitudine di persone è qui per la volontà di non dimenticare e di commemorare ciò che è accaduto, e conscio di essere accompagnato da te, Walter, e da mio nonno, scoppio nel pianto più angosciato ma allo stesso tempo sentito per la spontaneità con cui esso è scaturito dai miei occhi, il più bello e vero.

Ciao,

Alessandro Guidi

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