Il discorso di Laura Piccioli a Mauthausen

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L’unica cosa a cui pensavo era che se volevo sopravvivere dovevo approfittare degli altri, non sapevo cosa fossero compassione e tristezza, non eravamo più in grado di provare le più normali emozioni umane. Non ero più assetato di libertà o diritti: ero solo affamato di carne.”

Queste non sono le parole di mio zio Mario o di qualsiasi altro deportato nei campi nazisti. Chi parla è Shin Dong-hyuk, un ragazzo nato all’interno di un campo di concentramento koreano.

Shin ha la mia età e da quel campo 14 è scappato circa 10 anni fa.

Ma non ci ripetiamo continuamente che i campi di concentramento non sarebbero dovuti esistere mai più? Già, questo mai più, quante volte lo ripetiamo guardando la scala della morte di Mauthausen, quante volte lo gridiamo a gran voce all’interno delle gallerie di Ebensee o davanti al forno crematorio di Gusen, quante volte lo risentiamo nei discorsi più o meno istituzionali?

Quel “mai più” intriso di ipocrisia e retorica risuona nelle bocche di tutti, rendendolo ormai solo quasi una frase di circostanza.

Quel mai più, fuori da queste mura, fuori da questo contesto, si trasforma e perde completamente il suo significato.

I musulmani sono tutti dei terroristi”, “rumeni, albanesi, marocchini e tunisini sono solo dei criminali” “che schifo i gay”, queste e molte altre frasi simili echeggiano tra i discorsi di tutti i giorni nelle nostre comunità, escono dalle bocche delle persone più civili, le stesse che poi parlando della deportazione urlano mai più.

Se riuscissimo realmente a vivere la nostra quotidianità con occhi diversi, cercando di conoscere, di imparare e di capire prima di giudicare e prima di generalizzare, se riuscissimo a ripetere a noi stessi “mai più” davanti alle piccole o grandi discriminazioni che ogni giorno, oggi, nel nostro piccolo, ognuno di noi vive, probabilmente la nostra sarebbe una società migliore, dove il rispetto viene prima dell’ignoranza e della prepotenza, dove l’uguaglianza e la libertà sono valori che appartengono a tutti.

La mia vuole essere una provocazione, un invito a ragionare su questa tematica, perchè la storia di mio zio fa parte del passato, quella di Shin del presente e ognuno di noi per costruire il proprio futuro deve prendere coscienza di entrambe, ognuno di noi deve farsi carico di queste testimonianze non per ricordare, ma per imparare.

Quel che si ricorda prima o poi si dimentica, quel che si impara ci servirà per sempre e forse, non ci sarà più bisogno di ripetere “mai più”!

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