Ebensee, 4 maggio 2019 – il discorso di Alessio Ducci

Egregi signori, rappresentanti le Istituzioni, prima di tutto Vi ringrazio per avermi invitato qui oggi in occasione delle celebrazioni del 74° anniversario della liberazione del campo di Ebensee.

Sono il presidente dell’ANED associazione nazionale ex deportati di Firenze e Vi porto il saluto di tutte le sezioni ANED italiane, con un pensiero particolare a quella di Prato ed a Roberto Castellani.

Mio padre Alberto Ducci matricola 57101 fu catturato a Firenze durante gli scioperi del marzo 1944, il suo trasporto partì dalla stazione di Firenze l’8 marzo, giunse alla stazione di Mauthausen dopo 3 giorni estenuanti di viaggio. L’11 marzo fece ingresso nel KZ di Mauthausen e dopo circa 15 giorni di quarantena, fu trasferito qui ad Ebensee.

L’arrivo ad Ebensse fu molto duro nelle baracche vi erano deportati di altre nazionalità, francesi, spagnoli, albanesi, jugoslavi, che talvolta erano stati catturati per mano dei fascisti italiani. Quindi spesso si rivolgevano a mio padre dicendogli voi italiani tutti Mussolini, dall’altra parte vi erano le SS che ce l’avevano a morte con gli italiani a causa dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Inizialmente mio padre fu impiegato nel taglio delle abetine per la costruzione delle baracche del campo, in seguito fece parte di una squadra di lavoro all’interno delle gallerie. Mio padre era nato il 16 maggio del 1927 e qui ad Ebensee trovò un torinese che forse molti di voi hanno conosciuto, Italo Tibaldi, il quale era nato lo stesso giorno, mese, anno di mio padre e per questo motivo nel campo li chiamavano i gemellini. Fu liberato insieme a tutti gli altri il 6 maggio del 1945, pesava 27 kg era molto malridotto, a causa di un calcio in uno stinco aveva subito la frattura della tibia e come molti suoi compagni di lavoro nelle gallerie aveva preso la pleurite. Dopo circa un mese all’interno del campo allestito dalla croce rossa internazionale, raggiunti i 37 kg di peso, iniziò il suo viaggio di rientro in Italia con mezzi di fortuna.

Il reinserimento nella società è stato molto difficile,  animato da un grande senso di colpa nei confronti dei suoi compagni morti. Da qui l’esigenza di dover testimoniare non perché spinto da sentimenti di odio o vendetta, ma per rendere onore si suoi compagni di baracca, affinchè nessuno più dovesse vivere le atrocità che sono state compiute  in questi luoghi.

Fin dagli anni 60 vengono organizzati dall’ Italia viaggi ad Ebensee, inizialmente pochi autobus composti principalmente da sopravvissuti e familiari dei caduti, negli anni 70 si aggiungono gli studenti e gli insegnanti, il pellegrinaggio laico cambia forma, i sopravvissuti che ci accompagnano per motivi naturali, sono sempre di meno e lasciano spazio a noi familiari di seconda o terza generazione.

Io, insieme a mia madre, ho accompagnato spesso mio padre al pellegrinaggio, non gli ho mai sentito pronunciare una parola di odio o di risentimento, la sua unica preoccupazione era quella di trasmettere la testimonianza, l’ultima volta che è stato ad Ebensee era il maggio del 1996, fu un’esperienza straziante, il fisico non lo sosteneva più ma lui volle esserci per forza, contro il parere di noi familiari e dei medici. Purtroppo morì dopo due mesi.

Da quando mio padre mi ha lasciato, ho deciso di portare avanti il suo impegno nell’ANED, l’associazione degli ex deportati italiani. Un compito che diviene sempre più impegnativo con il venir meno degli ultimi testimoni. Ogni anno partecipiamo al pellegrinaggio laico, accompagniamo centinaia di studenti al campo di Dachau, Ebensee, Hartheim, Gusen, Mauthausen ed infine la risiera di San Sabba a Trieste, 5 giorni di viaggio durante i quali abbiamo modo di approfondire i vari aspetti della deportazione. Un’occasione importante per riflettere sul significato attuale dei cosiddetti viaggi della memoria.

Non passa giorno che non mi chieda se ciò che sto e stiamo facendo, sia sufficiente per trasmettere alle future generazioni ciò che di tremendo è avvenuto in questi luoghi affinché nessuno mai più sia costretto a riviverlo.

Oggi mi guardo intorno e scorgo molti occhi lucidi, volti commossi dinanzi al dolore cha ancora si percepisce in questo luogo davanti allo sguardo degli ultimi superstiti. Mi rivolgo ad ognuno di voi con una breve citazione della poesia E’ proibito di Pablo Neruda:

“E’ proibito piangere senza imparare”

vorrei che ognuno di noi, ricordasse queste parole fra qualche settimana.

Le nostre associazioni, le fondazioni, gli storici, stanno studiando ancora oggi per ricostruire nomi e volti dei deportati. Fra qualche anno, avremo la necessità di ricostruire le storie, le identità di migliaia di esseri umani, che perdono la vita nel mare nostrum.

Perdono la vita durante un viaggio della speranza alla ricerca non di una vita migliore, ma proprio per salvarsi la vita. Bambini, donne ed uomini, vengono inghiottiti nel mediterraneo, mentre nella nostra quotidianità leggiamo la notizia sugli smartphone, per poi voltarci dall’altra parte e riprendere la nostra quotidianità.

Nella nostra più totale indifferenza.

Mi rivolgo anche ai rappresentanti politici qui presenti, Vi prego, non impostate le vostre campagne elettorali, cavalcando il terrore,

Chiudiamo i porti!!   alziamo muri,
Siate consapevoli che ogni volta pronunciate queste frasi in cerca del consenso, vi state apponendo sul petto l’ennesima medaglia dell’ennesimo barcone che sta sprofondando nel mar Mediterraneo.
Io mi chiedo che cosa penserebbero coloro che hanno sacrificato la propria vita per regalarci la libertà, nel vedere un ministro della repubblica italiana fotografato con un mitra in mano, mentre imperterrito continua a ripetere:

Prima gli italiani.

Che tristezza cari signori. Io pretendo che oggi qui in questo luogo sacro per molti di noi, sia ben presente che prima vengono gli esseri umani!!!!

Non siate indifferenti, abbiate la forza di indignarvi e di schierarvi. Siate partigiani.Mi rivolgo ad ognuno di voi, voglio guardarvi negli occhi

Vi prego, ricordate che è

Proibito piangere senza imparare!

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