Mio nonno Leone e altri clandestini storie, non numeri
Di Ugo Caffaz
Caro direttore
Io sono un immigrato clandestino o meglio tale era il nonno di mio nonno, Leone Caffaz ebreo nato a Mogador (Essaouira) in Marocco e morto a Pisa dove si era fermato, rinunciando a proseguire per Marsiglia, suo obbiettivo originario. Oggi forse avrebbe voluto raggiungere la Germania come spesso desiderano gli immigrati che sbarcano a Lampedusa. Siamo a metà dell’Ottocento quindi in tempi di emancipazione e apertura dei ghetti, tranne quello papalino per il quale sarebbe stata necessaria la breccia di Porta Pia nel 1870. Se la sua sia stata una fuga politica verso la libertà, economica o per motivi personali non è dato sapere, quindi con i criteri che si vorrebbero applicare oggi (la politica si, la fame no) non si sa come sarebbe andata a finire. Ma finì bene perché si accasò e si sposò tal Abigal Saadun ebrea di Pitigliano la cui origine iberica risaliva ad una famiglia espulsa dalla Spagna nel 1492 o giù di lì. La Toscana alla fine del cinquecento, fra l’altro con Leggi “Livornine” aveva chiamato ebrei e arabi rimasti nella penisola iberica in vario modo per costruire il porto di Livorno. Evidentemente anche allora si era valutato utile l’apporto di lavoratori stranieri per i quali il Granduca aveva garantito libertà permanente. Il presidente dell’Inps Tito Boeri avrebbe apprezzato il vantaggio economico di tale operazione! Leone e Abigali ebbero tanti figli che si sparsero un pò per tutta Italia, Carrara, La Spezia, Lugo di Romagna, (qui nascerà mio nonno) ma anche in Costa Rica. Un fratello, una sorella, e un cugino del nonno saranno poi deportati e uccisi nelle camere a gas di Auschwitz. Dal Marocco, quindi al campo di sterminio. Mio padre, nato invece a Firenze si salvò quando era già incolonnato per la deportazione, grazie all’intervento coraggioso e intelligente del contadino che nascondeva lui, mia madre e mia sorella. Nel dopoguerra nacqui io. Racconto tutto questo, sia pure brevemente, perché umanizza, cioè entra nella vita di un immigrato clandestino, quando sappiamo, vedi sopra, che dalla sola Sicilia, nel 1492 furono espulsi circa cinquantamila ebrei, oppure che, facendo un salto nella storia di appena 70 anni fa, centinaia di ebrei dopo l’8 settembre, tentavano di entrare in Svizzera pagando dei contrabbandieri che spesso poi li consegnavano ai nazisti in cambio di altro denaro, di solito 5.000 lire per un adulto, 3.000 per un bambino. Anche qui tragicamente usiamo numeri, ma varrebbe la pensa, per capire davvero ricostruire la storia di ciascuno persona per persona. Se fra 20, 50, 70 anni verrà raccontata le vicende di un immigrato, sbarcato miracolosamente sulle nostre coste, qualcuno potrà forse dare un volto quantomeno ai suoi discendenti, lasciando da parte le percentuali e non preoccupandosi dell’inquinamento della “razza italiana”. Ma oggi ogni lui è un numero, considerato all’interno di una moltitudine, distinguendo i motivi dell’abbandono del suo Paese, ecc ecc. E magari se si tratta di un bambino morto soffocato in fondo ad un barcone non avrà una discendenza, ma solo il Mediterraneo come fossa comune. Quando si discute di ius soli o ius sanguinis o ius culturae, proviamo a pensare alle persone in carne ed ossa e non ai calcoli elettorali. Gli esseri umani sono tutti uguali, le razze non esistono, ma i razzisti si, diceva Rita Levi Montalcini.
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