In un clima grandemente significativo e commovente, i primi due deportati politici fiorentini hanno avuto le loro pietre d’inciampo.
Riteniamo estremamente efficaci le vicende narrate dalle nipoti. Due storie molto diverse, ma molto indicative, capaci di ricreare il clima del tempo e il dolore delle famiglie che hanno aspettato invano il ritorno del loro caro. L’ANED ringrazia per questi preziosi contributi.
———————
Il giorno 18 gennaio 2022 è stata posta la pietra d’inciampo ad Archimede Piani, davanti alla sua abitazione di via Mannelli 25. Egli era stato arrestato in circostanze davvero fortunose. La sua vicenda è legata ai convogli piombati partiti da Santa Maria Novella per Mauthausen l’8 marzo 1944 con gli scioperanti, benché non avesse partecipato a nessun sciopero. Era nato a Pontassieve il 23 maggio 1903. Fu arrestato forse proprio l’8 marzo e portato alle Scuole Leopoldine, da lì alla stazione di Firenze per essere deportato a Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944. Archimede Piani fu classificato nella categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.341. Dichiarò di essere, come era, muratore. Venne trasferito al sottocampo di Gusen, dove morì il 27 aprile 1944. Lascia la moglie Clorinda e due bambine, Elide di 12 anni e Vittoria di 7 e gli anziani genitori, Zaira e Onorato.
“Mio babbo si chiamava Archimede Piani era nato ad Acone, un paese sopra la Rufina, il 23 maggio del 1903, ha vissuto nella stessa casa dove sono nata anche io, prima con i genitori, le sue due sorelle più grandi e un fratello più piccolo, poi con la moglie e me e mia sorella Elide e sempre con il fratello, sua moglie e le due figlie.
Mio babbo lavorava a Firenze come capomastro nella ditta edile di una cugina, e per questo dal lunedì al sabato viveva a casa della sorella Annita: nel poco tempo che abbiamo passato insieme su questa terra lo vedevo solo un giorno la settimana, quando tornava a casa ad Acone il sabato sera per poi ripartire il lunedì mattina.
Che io sapessi non aveva tessere di partito, certo non quella del partito fascista. Fu arrestato qui, in via Mannelli 25, perché in tasca a un inglese precedentemente nascosto ad Acone, mentre cercava di spostarsi sul territorio,fu trovato un biglietto con il nome del cognato, marito della sorella, Nello Vivoli, e questo indirizzo. Quando i fascisti arrivarono trovarono anche mio babbo e furono dunque arrestati tutti e due, ma il cognato dopo l’arresto e la detenzione a Villa Triste fu rilasciato, mio babbo no. Messo su un treno partito l’8 marzo del 1944 da S. M. Novella, transitato per Fossoli, destinazione Mauthausen, fu poi trasferito al sottocampo di Gusen dove è morto il 27 aprile dello stesso anno.
Aveva una motocicletta, amava molto la sua moto, la usava per andare a lavoro e gli piaceva viaggiare, come andare a Livorno a mangiare il pesce che per l’epoca era un viaggio! E gli piaceva vestirsi bene, alla moda dell’epoca… la foto sulla moto, con gli stivali e i pantaloni da motociclista è sulla lapide che abbiamo messo nel mausoleo del campo di Gusen.
Amava giocare al lancio della rulla, gioco che facevano nella piazza lanciando la rulla verso la porta della chiesa, e alle bocce. Gli piaceva anche andare a caccia, ma più che per cacciare era per stare in compagnia, e nello stare in compagnia condivideva le cartucce e la bottiglia del vinsanto con gli amici che non ne avevano: perché mio babbo era tanto generoso e a distanza di tempo tante persone, parlandomi di lui, mi hanno raccontato le cose che aveva fatto per gli altri: portava i sigari da Firenze e li dava a chi nel paese non poteva permetterseli; passava sempre a trovare una bambinetta, Marisa, ricoverata a Firenze per la scoliosi, lontana dalla famiglia, e lui le portava sempre qualcosa, un piccolo gioco e le faceva compagnia. E addirittura una volta andò a trovare un compaesano ricoverato a Padova.
E quando tornava a casa con me e mia sorella era giocoso, ci portava sempre un pensiero, un balocco, ce li nascondeva sotto il cuscino, e d’estate ci faceva trovare le lucciole sotto il bicchiere sul comodino.
Inventava per noi tante novelle, in particolare me ne ricordo una con un contadino, il Giasetri, che zappava e zappava e una lucertolina che scappava e scappava un po’ più in là… o la novella della gatta puccina che mi avrebbe mangiato i piedi quando sedevo sul letto invece che infilarmi sotto le coperte con mia sorella.
Era un uomo scherzoso, molti dei soprannomi del paese li aveva inventati e dati lui, e di compagnia. Gli piaceva ballare, credo, perché mi hanno raccontato, che una volta con il fratello e altri amici andarono a ballare a Villore e come forestieri non furono graditi ai giovanotti locali, che gli bucarono le gomme della macchina e loro tornarono parecchio tardi a sera del giorno dopo, ancora tutti vestiti eleganti!
Questi i miei ricordi e i ricordi dei racconti fatti da mia mamma e da chi gli ha voluto bene, perché era un uomo che sapeva farsene volere.”
(scritto dalla figlia di Archimede, Vittoria, e letto dalla nipote Rossana Ciullini, alla presenza della madre)
LEAVE A COMMENT